Se le chianche potessero parlare, quante ne direbbero!
Chianche stanche, chianche bianche, chianche lucide dell'acqua che scende. Chianche calde per il sole che spacca d'estate. Chianche che raccolgono i pensieri e i sospiri degli innamorati, che al riparo da tutti si baciano negli angoli più nascosti. Chianche che sanno di tanto tanfi e odori e sanno di tutti, cattivi e buoni. Chianche che profumano di mare e del ragù domenicale che in quei vicoli stretti, si diffonde come a dire, "ehi tu! ricordati di dove sei". Chianche martoriate da vandali funesti, che senza ritegno né rispetto per la storia che recano in sé, vi rovesciano di tutto: birre e coca cola, pizze e patatine, gelati spiaccicati e piscio. Come se, pisciare sulla storia che siamo stati, fosse normale, e normale rinnegarla. Non riconoscerla. Non sappiamo chi siamo perchè non vogliamo sapere da dove veniamo. Altrimenti a piedi scalzi andremmo in giro sulle chianche per non sciuparne la bellezza e non scalfirne la superficie levigata. Un po' come si fa con le stalattiti e le stalagmiti, che se le tocchi ne interrompi la crescita. E questo siamo, interrotti.